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Una settimana in Terra Santa

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Il pellegrinaggio in Terra Santa appena concluso è stato un “viaggio” della mente e dell’anima. Dal punto di vista geografico, procedendo da nord verso sud, si è snodato dalla Galilea (Nazareth, il lago di Tiberiade, le fonti del Giordano, il monte Tabor), passando per la Samaria (il Mar Morto, il sito archeologico di Jericho e Sebastia, Nablus e la Cisgiordania), la Giudea (Betlemme e Gerusalemme).
Un bilancio di questa esperienza si pone su una molteplicità di piani: quello della fede, della scoperta di luoghi nuovi - per coloro che li hanno visitati per la prima volta - , della conoscenza da dentro di realtà religiose e sociali che interpellano tutti noi, della testimonianza.
Sul piano religioso, è stata una continua lezione di storia e di catechesi; vedere da vicino i luoghi dove Gesù è vissuto, porre in relazione gli accadimenti storici e religiosi con le testimonianze archeologiche aiuta a comprendere il valore di una lettura dei Vangeli e dei salmi fatta nei luoghi dove tutto è iniziato e si è compiuto.
Sul piano della scoperta, ciò che si apprezza è il senso di pace che i paesaggi, naturali e antropizzati, infondono; i continui cambiamenti di scenario, il coacervo di culture e di religioni che solo tra Israele e la Palestina è possibile vivere danno, da soli, il senso del viaggio.
Sul piano sociale, l’opportunità di approcciare una conoscenza delle realtà cristiane arabo-palestinesi è stato uno dei valori aggiunti di questa esperienza. Per chi, anagraficamente parlando, è cresciuto sentendo parlare delle alture del Golan, della spianata del tempio, della Cisgiordania, dell’eterno conflitto israelo-palestinese, ascoltare le testimonianze di chi vive questo conflitto ogni giorno sulla propria pelle, aiuta a comprendere l’importanza di conoscere i fatti creandosi una opinione libera da pregiudizi e da mediazioni andando là dove i fatti accadono, là dove le persone vivono un disagio.
Sul piano della testimonianza, abbiamo compreso l’importanza di essere vicini a popolazioni che vivono situazioni di disagio. Non si tratta di una vicinanza solo morale rispetto alle ragioni ed alle necessità, piuttosto di un moto interiore che porta a mettersi in azione per aiutare fattivamente popolazioni in stato di bisogno materiale e di aiuto affinché la componente cristiana di quei luoghi possa continuare efficacemente il proprio ruolo di comunità di “equilibrio”. E chi di noi fa parte dell’Istituto Massimo ha la grande opportunità di farsi a sua volta testimone nella comunità in cui opera e presso la propria rete di relazioni.
Fabrizio Olati

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