Per capire cosa significa Sighet è necessario partire dall’ultimo giorno di campo. Saluti i bambini a cui hai insegnato inglese per due settimane e che non ne vogliono sapere dei nuovi maestri che verranno al turno seguente. Gli spieghi che tornerai, che l’anno prossimo li vuoi vedere a un livello più alto e per salutarti usano tutte quelle parole che hai provato a insegnargli quando l’unica lingua veicolare era un misto di italiano e rumeno assolutamente incomprensibile. Porti via la valigia dalla tua stanza e lasci che la famiglia che ti ha accolto per due settimane faccia tutte le raccomandazioni possibili per assicurarsi che il viaggio di ritorno vada al meglio. Ti chiedi quando ti risiederai a tavola con loro per parlare di ciò che è accaduto durante la giornata e vorresti che tutti conoscessero quella sensazione, così semplice e gratuita. Infine guardi i ragazzi della casa famiglia. Ti chiedi come li ritroverai l’anno successivo, quanto saranno cambiati e se i più piccoli si ricorderanno di te. Dal primo anno di campo nulla è rimasto fermo a Sighet ma forse ciò che non cambia mai sono quei gesti d’amore che non vengono mai negati.
Domitilla Atlante
Sembra strano a dirsi, ma ogni volta che si arriva là, si sente un odore diverso, si provano emozioni che non sono da tutti i giorni: è come tornare a casa, casa Sighet. E ciò che è ancora più strano è pensare che ogni volta che si va via da Sighet, è come se si lasciasse un pezzetto del proprio cuore là, tra i bambini, gli anziani e i batrani, tra quelle famiglie che ti hanno accolto per due intere settimane cercando di fare del loro meglio per farti sentire a casa tua. Ma loro non sanno che, in realtà, quella è già casa tua. Sighet è l’esperienza più forte e travolgente che si possa provare, si impara davvero cosa vuol dire amare e sentirsi amati, sì, perché ti insegnano che basta un ‘ciao’, una carezza, una stretta di mano, un semplice sorriso per farti capire quanto possano esserti grato o quanto possano essere felici che tu sia li, anche per sole due settimane. Non vedo l’ora di tornare!!
Camilla Di Dio
Arrivare a Sighet è faticoso, si passa per paesi che si sviluppano solamente lungo una strada, carretti, dossi, buche e poi miseria; tornare da Sighet lo é ancora di più, ma stavolta non saranno le tue ossa a faticare, a star male stavolta sarà il tuo cuore.
Un cuore che oltre a passare in mezzo alla miseria l’avrà toccata.
Un cuore che avrà tenuto la mano ai bambini di casa famiglia 1,2 e 3, che avrà visto cucire dolcemente le vecchine maltrattate dalle infermiere del Camin de Batrani, un cuore che avrà provato ad insegnare inglese nel migliore dei modi, che avrà giocato con Adi, il più tenero dei malati psichiatrici. Un cuore che tornerà a casa scosso, forse incompreso da chi in Romania con te non è venuto. Un cuore che adesso considera Sighet la sua seconda casa.
Lucrezia Imperiali
Sighet, penultimo giorno di servizio al camin de batrani, casa di riposo per anziani dove negli anni sono state inserite anche persone più giovani con patologie molto gravi. Siamo tutti riuniti nell’unico stanzone messo a disposizione dei malati.
C’è chi strilla, chi salta, chi ride. Sta per cominciare la messa e l’entusiasmo è alle stelle: non aspettano altro. Noi volontari ci guardiamo, probabilmente con tutta questa confusione la liturgia sarà proibitiva. Invece all’arrivo di Don Pasquale, con nostro grande stupore, l’intera sala viene avvolta da un silenzio rispettoso e adorante che mai mi sarei immaginato. Ecco, forse questo frame spiega meglio di molte altre parole ciò che per me è stata questa mia seconda esperienza a Sighet. In quei momenti ho veramente compreso il loro bisogno di speranza, imprigionati in una sofferenza interiore senza fine. Aver portato nelle loro giornate un pizzico di allegria anche se per pochi giorni, ha reso quest’esperienza unica.
Luca Gaudenzi